Angelo Lorenzon ha lasciato un ricordo vivissimo ed un rimpianto
    profondo in seguito alla sua scomparsa così inopinata e immatura, perché, in primo luogo
    egli era un uomo buono, generoso, autentico in ogni sua espressione, perché era
    "nella verità". E ciò sia detto senza alcun significato restrittivo per la
    validità artistica dellopera sua, nella quale appunto poterono manifestarsi la sua
    ricca umanità, la sua libertà interiore, la sua noncuranza per tutto ciò che non abbia
    rapporto con la purezza della fantasia artistica, anche nel suo permeare la vita
    quotidiana.
    Angelo visse veramente nellarte e per larte, ma senza
    alcunenfasi "vocazionale", bensì riconnettendo il suo operare ad una
    costante pratica dellartigianato, pratica che nel suo caso fu necessaria e dimessa,
    eppur sempre nobilmente attuata anche nella routine del lavoro su commissione. Egli aveva
    piena coscienza del fatto che senza una modestia di fondo non è possibile avvicinarsi
    allarte, né può esistere una produttiva esperienza di perfezionamento.
    Ma se egli dava per scontato anche un certo margine di scacco e di
    errore, ed era in ansia rispetto ai traguardi che si prefiggeva, conservava pur sempre
    inalterata la serenità di chi "deve" comunque operare, e che persino
    nelloccasione più spicciola, apparentemente meno significativa, trova modo di
    capire certe realtà, di migliorare i propri mezzi, di liberare impulsi fantastici. Per
    questo i suoi lavori in legno, che sono i più sofferti e complessi, vanno dal
    bassorilievo "ornamentale" di ridotte dimensioni (ma in molti casi limpido e
    persuasivo) fino ai grandi gruppi scultorei senza che si noti vera discontinuità.
    Lartigiano che si concede piccole gioie inventive, che quasi giocherella con la
    sgorbia, non si contrappone affatto allartista che costruisce e rivela volumi e
    forme, corpi e atteggiamenti, richiamandoli dai legni, dalla vegetalità in cui sono
    spesso visibilmente accennati. E Angelo, in questa cultura che ha nel Veneto così
    affascinanti tradizioni, seppe individuare un suo itinerario variato ed originale
    raggiungendo risultati assai ragguardevoli per dignità e profondità dindagine.
    In questi suoi lavori una spinta, unaccentuazione quasi
    espressionistica, spesso convergente con una ieraticità da "primitivo", si
    intreccia a un robusto sentimento della realtà: e il tutto sembra poi sciogliersi come
    per un innato gusto del ritmo, in uno spazio che diventa esistente proprio nel lasciarsi
    ritmare dalla figura.
    Anche nellopera pittorica, che Angelo perseguì con esemplare
    diligenza, spesso si notano belle riuscite, in un ambito che non ignora certe tradizioni
    figurative del 900, e che trova la sua più rilevante connotazione in un conflitto,
    in un travaglio per cui il colore talvolta appare come tessuto lievemente di luci blande,
    talvolta si fa aggressivo, marcato anchesso da una tensione espressionistica. Veneto
    di campagna nel modo più biologicamente fiducioso, Angelo ha trovato spontaneamente il
    suo territorio artistico nei paraggi dei suoi maestri e contemporanei, Augusto Murer per
    la scultura lignea e Sandro Nardi per la pittura, ma è soprattutto da quel nimbo di
    creature della terra - la gente dei campi, le figure della vegetazione, il mondo animale -
    in mezzo alle quali egli rimase sempre, quasi senza volersene distinguere, che egli trasse
    la sua energia operatrice, nutrita da un tenace, semplice ottimismo, e insieme da una
    inquieta malinconia.
    Non si può non pensare Angelo ancora al lavoro, nel suo rustico
    laboratorio allimbocco della valle del Molinetto, gentile e consapevole guardiano di
    un regno collinare di bellezze estreme, terribili pur nella loro dolcezza, umile custode
    di unalta idea dellarte che, se oggi appare come in penombra, non potrà mai
    cessare di dar luce.